Blauburgunder, il Pinot Noir che ha conquistato l’Alto Adige

L’Alto Adige è una delle zone viticole più affascinanti d’Europa, dove le Alpi incontrano il Mediterraneo. Uno dei vini rossi più nobili della regione porta un nome che suona tedesco ma racconta una storia francese. In Alto Adige il Pinot Nero diventa Blauburgunder e, insieme al Lagrein autoctono, rappresenta l’eccellenza dei vini rossi di questi territori che si arrampicano tra i 400 e gli 800 metri di altitudine.
Perché proprio qui, tra Bolzano e Merano, questo vitigno capriccioso e delicato – che in Francia è la croce e delizia dei produttori di Borgogna da secoli – ha trovato la sua seconda patria? E perché tutti gli esperti concordano nel dire che i migliori Pinot Neri italiani nascono proprio in questi pendii scoscesi?
L’arciduca che cambiò tutto
La storia inizia nell’Ottocento, quando l’Alto Adige apparteneva ancora all’Impero austriaco. Fu l’arciduca Giovanni d’Asburgo-Lorena a intuire che questi terreni alpini potessero essere perfetti per i vitigni borgognoni. Una scommessa ardita, visto che il Pinot Nero è uno dei vitigni più esigenti al mondo: buccia sottile, sensibile agli sbalzi termici, capace di regalare emozioni uniche ma solo se trova le condizioni perfette.
Per oltre un secolo, però, il Blauburgunder rimase una curiosità. Produzioni minime, ettari contati, interesse scarso. Poi, negli anni Ottanta, tutto cambiò. Il riscaldamento climatico spinse i viticoltori a piantare sempre più in alto, e improvvisamente questo vitigno schizzinoso trovò il suo habitat ideale. Oggi, sui 5.600 ettari vitati della regione, ben 522 sono dedicati al Pinot Nero – poco più del 9%, ma che 9%!
I quattro regni del Blauburgunder
La Bassa Atesina è diventata il regno indiscusso di questo vitigno, divisa in quattro zone che gli regalano personalità diverse. A Mazzon, il vigneto storico di Egna, 45 ettari di Pinot Nero si arrampicano tra i 300 e i 450 metri regalando vini caldi e avvolgenti. A Montagna le cose si fanno più interessanti: a Gleno si sale fino a 791 metri su suoli di porfido, calcare e dolomia – qui il Pinot Nero acquisisce un’eleganza quasi eterea. A Pinzano, invece, l’esposizione sud-ovest e i terreni di calcare e argilla donano ai vini una struttura più decisa.
Ma è a Cornaiano che succede qualcosa di speciale. Qui, tra i 400 e i 500 metri, il porfido e i depositi morenici creano condizioni uniche. Ed è proprio qui che dal 1820 la famiglia Weger ha fatto della coltivazione del Pinot Nero quasi un’arte.
I Weger, sei generazioni di passione
Johannes Weger, sesta generazione della famiglia, vi direbbe che non esiste una formula magica. Nei suoi otto ettari (tre di proprietà, cinque in affitto) ogni grappolo viene selezionato maniacalmente, ogni fase rispetta l’ecosistema, ogni decisione in cantina punta a una sola cosa: far emergere quello che il territorio ha saputo dare all’uva.

Il loro “Johann” è la dimostrazione pratica di questa filosofia e il motivo per cui l’abbiamo scelto per voi. Rosso rubino intenso, profumi di lamponi e ciliegie che si aprono su note floreali, poi un assaggio che conquista immediatamente: secco, aereo, vellutato, con una trama tannica definita ma mai invadente e un finale che non vi abbandona. È esattamente quello che cerchiamo in un Pinot Nero: eleganza senza ostentazione, territorio che si sente ma non urla, un prezzo onesto per una qualità davvero notevole.
La cosa bella di questo Pinot Nero altoatesino? Si adatta a tutto: un arrosto di selvaggina delle valli alpine, formaggi stagionati piccanti, anche un semplice risotto ai funghi porcini. E perché no, servito leggermente più fresco, sorprenderà in abbinamento a una tagliata di tonno. È come se avesse imparato la versatilità della sua terra d’adozione, capace di essere mitteleuropeo e mediterraneo allo stesso tempo.
Quindi, la prossima volta che sentirete parlare di Blauburgunder, ricordatevi che state per assaggiare il frutto di duecento anni di sperimentazione, quattro zone diverse che hanno trovato la loro vocazione, e generazioni di produttori che hanno trasformato una scommessa aristocratica in uno dei rossi più affascinanti d’Italia.