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Viaggio nello Spreco Alimentare – 1: Quando il cibo diventa rifiuto

Iniziamo oggi un viaggio in tre puntate per esplorare uno dei paradossi più assurdi del nostro tempo: lo spreco alimentare. In questo primo articolo scopriremo le dimensioni del problema e i numeri che fanno venire i brividi. Nel secondo, vi sveleremo le soluzioni che funzionano davvero e i paesi che sono riusciti a invertire la tendenza. Infine nel terzo, guarderemo al futuro e a cosa possiamo fare, tutti insieme, per cambiare le cose. Benvenuti a bordo.

Il problema (apparentemente) invisibile

È sabato mattina. Apriamo il frigorifero per fare colazione e troviamo quello yogurt comprato dieci giorni fa. Data di scadenza: ieri. Lo buttiamo senza pensarci. Domenica sera controlliamo il cassetto delle verdure: quella zucchina ha qualche macchia scura. Via anche quella. Lunedì mattina il pane di tre giorni prima è ormai troppo duro. Spazzatura.

In una settimana normale, senza drammi, senza sprechi apparenti, abbiamo appena buttato 667 grammi di cibo. A testa. E con ogni probabilità, non ce ne siamo nemmeno accorti. È successo in automatico, come lavarsi i denti o chiudere la porta di casa.

Ma ecco il paradosso: quello che sembra un gesto insignificante, moltiplicato per 60 milioni di italiani, contribuisce ad “alimentare”, solo per quanto riguarda il nostro Paese, una delle più grandi follie dei nostri tempi: lo spreco alimentare.

Numeri che raccontano una storia inquietante

Partiamo dai fatti, che già di per sé sono preoccupanti. Nel 2024 ogni italiano ha buttato nella spazzatura 667 grammi di cibo a settimana. L’anno prima erano 566 grammi. Avete capito bene: in dodici mesi siamo riusciti a peggiorare del 18% in una delle discipline più assurde del mondo moderno.

Moltiplicando quei 667 grammi per 52 settimane otteniamo 35 chili di cibo buttato a persona ogni anno. Che per 60 milioni di italiani fa oltre 2 milioni di tonnellate di spreco domestico.

E se a questa già esorbitante quantità di cibo che buttiamo in casa, aggiungiamo anche quella generata dall’intera filiera alimentare (produzione, distribuzione e ristorazione), le tonnellate allora diventano ben 8,2 milioni. 4 volte tanto: una montagna di cibo che potrebbe sfamare una moltitudine di persone e che invece finisce dritta nel cestino della spazzatura.

La gravità del fenomeno si comprende ancora meglio analizzando la distribuzione economica di questo spreco, che racconta una storia molto precisa. Il 76% dei costi – pensate, più di tre quarti – si consuma nelle nostre case. Sono 15,8 i miliardi di euro che spariscono tra le mura domestiche, frigorifero per frigorifero, famiglia per famiglia. Il resto si divide tra commercio (1,7 miliardi), ristorazione (1,3 miliardi) e produzione (2 miliardi circa).

Questa cifra mostruosa, pari a una manovra finanziaria, ci costa direttamente 263 euro a testa ogni anno, ma il costo totale dello spreco alimentare – includendo quanto sprecato da ristoranti, supermercati e industria – arriva a 346 euro per persona, per quasi 21 miliardi di euro nazionali letteralmente gettati via. È come buttare nella spazzatura 22 euro ogni mese del nostro portafoglio, più altri 7 euro che paghiamo indirettamente nei prezzi praticati al ristorante, al mercato e al supermercato.

Ma il messaggio appare chiaro e inequivocabile: il problema principale siamo noi, nelle nostre cucine, con le nostre abitudini quotidiane.

L’Italia nel contesto internazionale

Con 8,2 milioni di tonnellate di cibo sprecato, l’Italia si posiziona come terzo paese in Europa per quantità assoluta, dietro solo a Germania (10,8 milioni di tonnellate) e Francia (9,5 milioni di tonnellate). Insieme, questi tre paesi rappresentano quasi la metà (47%) degli sprechi alimentari totali dell’Unione Europea.

Se guardiamo ai valori pro-capite, l’Italia registra 139 kg per persona all’anno considerando tutte le fasi della filiera alimentare. Pur non essendo ai primi posti della classifica europea (guidata da Cipro con 294 kg pro-capite), si posiziona comunque sopra la media UE, all’undicesimo posto.

Nel mondo poi, le cose non vanno certo meglio. A livello globale quest’anno  butteremo via oltre un miliardo di tonnellate di cibo. Un miliardo di pasti sprecati ogni singolo giorno, mentre 733 milioni di persone soffrono la fame – circa una persona su undici. È come se l’intero pianeta avesse deciso di fare una gara a chi butta via più cibo, proprio mentre una parte significativa della popolazione mondiale non ha accesso a cibo sufficiente.

Ma torniamo a casa nostra

Qui la storia prende una piega ancora più curiosa. Non tutti gli italiani sprecano allo stesso modo – abbiamo una vera e propria geografia dello spreco che racconta molto di più di quello che sembra.

Il Nord risulta leggermente più virtuoso con 526 grammi settimanali pro capite. Sud e Centro invece volano rispettivamente a 713 e 640 grammi. Perché succede questo? Le ipotesi sono tante: tradizioni familiari diverse, strutture di acquisto differenti, ma anche la composizione delle famiglie che al Sud sono mediamente più numerose. Ma il dato, impietoso, rimane: stiamo sprecando tutti, solo con intensità neanche troppo diverse.

Una classifica assurda

Cosa buttiamo di più? Preparatevi a una classifica che ha dell’incredibile. A livello mondiale, verdure e frutta insieme rappresentano più della metà dello spreco totale. Proprio quegli alimenti che dovremmo mangiare di più per stare bene, li sprechiamo di più.

In Italia continuiamo imperterriti a buttare frutta fresca, pane, verdura, insalate. Tutto quello che sta alla base della nostra celebrata dieta mediterranea finisce regolarmente nella spazzatura. In pratica sabotiamo sistematicamente quello che di buono abbiamo imparato da generazioni a fare in cucina.

Le ragioni di una “follia collettiva”

Vi siete mai chiesti perché succede tutto questo? Le ragioni sono un mix tragicomico di modernità e disorganizzazione. Compriamo cibo di qualità inferiore che dura meno, sperando di risparmiare. Non pianifichiamo mai cosa vogliamo mangiare davvero. Facciamo la spesa di fretta, guidati dalle offerte piuttosto che dai bisogni reali.

E poi c’è il fattore tempo: quella verdura che potrebbe diventare una zuppa deliziosa finisce nella spazzatura perché non abbiamo tempo (o voglia) di inventarci una ricetta. O perché confondiamo “da consumarsi entro” – che è una scadenza tassativa – con “da consumarsi preferibilmente entro” – che è invece una scadenza indicativa – e finiamo con il buttare cibo ancora buono e perfettamente consumabile.

L’impatto nascosto di ogni boccone buttato

Ma ecco la parte più incredibile di tutta questa storia: ogni volta che buttiamo del cibo, stiamo sprecando anche tutto quello che è servito per produrlo. Acqua, energia, fertilizzanti, trasporti, lavoro umano. Anche solo 100 grammi di carne bovina hanno richiesto 1.500 litri d’acqua per arrivare nel nostro frigorifero. Buttarli significa vanificare tutto questo sforzo in un colpo solo. Lo spreco comporta inoltre deforestazione, perdita di biodiversità e inquinamento a scala locale e globale.
Inoltre, il cibo che marcisce nelle discariche produce metano, un gas serra 25 volte più potente della CO2. Ridurre lo spreco alimentare è quindi una delle azioni più efficaci che possiamo compiere per l’ambiente.

Un paradosso che fa venire i brividi

Volete sapere qual è la cosa più assurda di tutta questa storia? Che nei frigoriferi delle famiglie del mondo c’è cibo sufficiente per dare 1,3 pasti al giorno a ogni persona che soffre la fame. Mentre noi buttiamo 667 grammi a settimana, milioni di persone non sanno se mangeranno domani.

Con tutto il cibo che sprechiamo globalmente potremmo sfamare un terzo della popolazione mondiale. È come se avessimo risolto il problema della fame nel mondo, ma poi avessimo deciso di buttare via la soluzione.

Il countdown verso il disastro

I numeri dicono che entro il 2030 dovremmo sprecare al massimo 370 grammi a settimana per persona, se vogliamo rispettare gli impegni internazionali. Significa tagliare 50 grammi ogni anno da qui al 2029. Sembra poco? Beh, considerando che nell’ultimo anno siamo peggiorati del 18%, forse non è così semplice.

E se non ci riusciamo? Le previsioni parlano di 230 milioni di tonnellate aggiuntive di spreco entro il 2033. Una catastrofe annunciata che potrebbe rendere tutto questo problema ancora più drammatico.


Ma non tutto è perduto. Anzi, esistono soluzioni concrete che alcuni paesi hanno già messo in pratica con successi incredibili. Il Giappone ha ridotto lo spreco del 31%, il Regno Unito del 18%. Come hanno fatto? E soprattutto, cosa possiamo imparare per trasformare le nostre abitudini quotidiane? Ve lo racconteremo nella prossima puntata di questo viaggio, dove scoprirete che a volte basta davvero poco per fare la differenza.

[Continua con l’articolo 2: “Le Soluzioni – Come Trasformare le Abitudini”]